Come nasce NovaVita

La condizione di vita da invisibili dei cerebrolesi, le mille difficoltà che le loro famiglie si ritrovano ad affontare, la voglia di provare a cambiare qualcosa, nelle parole di Pino Fraccalvieri, presidente della neonata associazione “Novavita”.

Mi sono affacciato al mondo del volontariato grazie ad un amico giornalista che scrive sulla Gazzetta del Mezzogiorno e che ho conosciuto circa 4 mesi fa, quando ha pubblicato una mia lettera dove raccontavo la storia di mia moglie Giulia e mia, affetta da una grave cerebrolesione post-coma.

Si chiama Michele Pacciano un disabile affetto da una tetraparesi spastica sin dalla nascita.

Mi ha colpito in lui la sua forza di volontà, la sua realizzazione e integrazione nonostante il suo grave handicap e da qui la convinzione di far nascere un’associazione che possa affrontare le difficili condizioni del post-coma.

Colgo l'occasione per citare alcuni dati allarmanti da una ricerca effettuata dal Ministero della Salute in 35 centri esaminati in diverse regioni. Su 100 pazienti post-coma: il 40% sono vascolari; il 37% anossici; il 22% traumatici (stradali/lavoro). E se prendiamo a riferimento solo i traumatici cioè il 22% ci rendiamo conto che il 2-3% rimane in coma per oltre un mese: il che significa che vi sono circa 15.000 comatosi all'anno, di cui il 40-60% ha altri traumi associati.

Tenuto conto soprattutto di ciò e considerato che le ultime tecniche di rianimazione consentono di salvare vite che fino a un decennio fa dovevano considerarsi perdute, allo stato attuale è assolutamente intollerabile constatare l'assenza in Italia e ancor più al sud di Unità di Risveglio e di strutture di altissima specializzazione per gravi cerebrolesioni, teniamo presente che in Puglia/Basilicata non esiste un centro di questo tipo e i pazienti sono costretti a recarsi molte volte all'estero con tantissimi disagi e un aggravio di spesa al Servizio Sanitario Nazionale.

Ciò peraltro comporta che, una volta realizzato il primario splendido scopo di salvare vite umane, si è poi d'altra parte in presenza di migliaia di disabili l'anno, senza strutture socio-sanitarie adeguate a garantirne l' iter terapeutico.

E' così che soggetti giovani, spesso con buone possibilità di recupero, non solo non possono usufruire delle cure dovute, ma cosa ben più grave, vanno incontro ad esiti più invalidanti di quanto avrebbe potuto determinare il danno primario stesso, con ulteriore incremento dei costi sociali.

Il Ministero della Salute invita ivi le Regioni a provvedere al più presto alla istituzione di reparti o strutture di terapia intensiva post-acuzie, avendo constatato la dimensione del fenomeno.

L'unità per la riabilitazione delle Gravi Cerebrolesioni - afferma il Ministero - costituisce un presidio di alta specialità riabilitativa deputato al trattamento dei pazienti affetti da gravi traumatismi cranio-encefalici ed altre gravi Cerebrolesioni acquisite come i comi post-anossici, gravi emorragie secondarie a malformazioni vascolari, da un periodo di coma più o meno protratto.

L’ istituzione di unità operative intensive post-acuzie comporta, senza alcun dubbio e senza possibilità di smentita, minori oneri per il sistema sanitario nazionale. Questo purtroppo non è cosi quando si passa dalle parole ai fatti. Va creata una cultura di base e vanno formate adeguate professionalità. Basti pensare che con il termine riabilitazione in

italiano si ha l'abitudine a generalizzare il problema ad estenderlo anche ai casi che risultano distanti da coloro che hanno subito danni a seguito di traumi cranio-encefalici.

La famiglia

Il percorso di recupero e il reinserimento del grave traumatizzato cranio-encefalico è estremamente lungo e difficile.

Le famiglie subiscono un'esperienza devastante sotto il profilo psicologico, con una conseguente alterazione degli equilibri familiari e con l'insorgere di costi per ausili, cure e visite specialistiche di supporto alla vita del congiunto, molto spesso non sostenibili.

Il momento iniziale dell'evento è dominato dalla confusione, dal dolore, dalla disperazione: si vuole che tutto finisca presto e bene.

Quando il coma viene superato, si entra in una fase che potrebbe essere chiamata di rifiuto e negazione: a causa della convinzione che con il risveglio si risolva tutto e della mancanza di informazioni contrarie da parte dei medici, ci si rifiuta di riconoscere l'esistenza di tutti quei problemi "nascosti" di cui ho parlato, giustificandoli spesso con affermazioni del tipo "era così anche prima".

Col tempo però questi disturbi persistono e si fanno così evidenti da non poter più essere negati: subentra la consapevolezza del fatto che le cose potrebbero non tornare più come prima. Tutto questo non può che non creare uno stato di depressione in chi lo vive. Oltre a manifestare questa serie di reazioni dovute al loro coinvolgimento affettivo nella vita del traumatizzato, i familiari sopportano un notevole carico di responsabilità: essi devono esercitare una custodia continua e un'assistenza costante, devono impegnarsi nella ricerca di aiuti ed ausili, sopportare un grosso carico economico, un enorme stress fisico ed emotivo, battaglie medico-legali e spesso anche l'isolamento.

In sintesi l'intendimento dell'Associazione "NOVAVITA" è quello di passare da una situazione di stallo, oltre che di carenza di interventi e distrutture, ad una nuova civiltà, una civiltà progredita, che "senta" come impegno sociale la necessità di istituire centri adeguati per la riabilitazione di soggetti con gravi danni da traumi cranio-encefalici, vascolari e anossici, nonché di centri diurni/semiresidenziali per il periodo post ospedalizzazione e inoltre intensificare e rafforzare il domiciliare, la famiglia infine è il più logico e adatto contesto riabilitativo.

Da quando vivo questa esperienza penso sempre che in una stanza illuminata il buio non può entrare, mentre in una stanza buia può sempre entrare la luce.

Pino Fraccalvieri
presidente Associazione NovaVita